Il Giardino dei Riflessi

Il giardino dei Riflessi è uno spazio dedicato alle riflessioni che nascono nel quotidiano, da fatti o eventi sociali che in qualche forma vanno ad incidere sul nostro modo di vivere, lasciando qualche traccia nella nostra memoria o, più semplicemente, è un modo di comunicare "accomodandoci" in un salotto virtuale dove è possibile trattare gli argomenti più svariati, traendo spunti significativi anche da eventuali esperienze personali.

Scopo del blog è condividere notizie, curiosità o esperienze personali rielaborandoli alla luce di molteplici punti di vista, evitando in tal modo stereotipi e/o inutili pregiudizi.

Così come in un “giardino” sono presenti innumerevoli tipologie di piante che coesistono tra loro e con altre forme di vita, in un gioco di riflessi di luce che ne alimentano l’esistenza, così l’essere umano dovrebbe coesistere nel sociale analizzando ogni fenomeno da diversi punti di vista in un gioco di idee che, seppur contrastanti, tendono ad armonizzarsi tra loro.

sabato 30 aprile 2011

La "Musica"



Come un mare la musica sovente mi rapisce! / E inalbero la vela sotto nebbiosa volta o nell’azzurro verso la mia pallida stella./ Petto in avanti, come vela gonfio, scavalco dei gran flutti accavallati le creste, che la notte mi nasconde./ In me sento vibrare affetti opposti come una vela che patisce./ Il vento che l’asseconda ed i convulsi strappi della tempesta sull’immenso abisso mi cullano./ Altre volte, poi, bonaccia: grande specchio della mia disperazione!
Baudelaire, “La Musica”

sabato 26 marzo 2011

Esaltazione del silenzio





Nella notte un pensiero amico apre la strada ad un nuovo incontro.
Passeggiando osservo il Silenzio, sovrano incontrastabile del buio.
Non odo null'altro che le mie emozioni..quanto basta per colmarmi di serenità!
Atttraverso il desiderio di Esserci, di sentire la mia esistenza vibrare..
Forse tutto intorno è gran rumore..Non rinuncio a sentirmi viva!

di Loredana Liuzza

lunedì 31 gennaio 2011

Spunti di riflessione...

Ecco uno spazio aperto in cui il lettore può cercare un confronto lasciando la propria opinione e le sue impressioni! Perle di Saggezza di alcuni dei più grandi pensatori di tutti i tempi

Le avversità non le affrontiamo perché sono difficili, ma sono difficili perché non le affrontiamo.
(Sèneca)


Tutti pensano di cambiare il mondo, nessuno di cambiare se stesso.
(Lev Tolstoj)

Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo.
(Mohandas Karamchand Gandh)


L'uomo felice è colui che fa del bene agli altri
l'uomo infelice è colui che si aspetta il bene dagli altri.
(Hazrat Inayat Khan)


Quando un uomo desidera tante cose, non ha sé stesso.
(Confucio - I Dialoghi)


L'uomo non tesse la ragnatela della vita, di cui è soltanto un filo. Qualunque cosa fa alla ragnatela, la fa a se stesso.
(American Chief Seathl)


La civiltà non è né il numero né la forza, né il denaro.
La civiltà è il desiderio paziente, appassionato, ostinato, che vi siano sulla terra meno ingiustizie, meno dolori, meno sventure.
La civiltà è amarsi.
(Raoul Follereau)

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.


(Pablo Neruda)
  






mercoledì 15 dicembre 2010

Follia? Solo espressione artistica..




Quanto è sottile il confine tra patologia e sanità psichica? Quando si può affermare di essere dinanzi ad un malato di  mente? Questo video riporta alcune delle celebri opere d'arte di un famoso pittore considerato "il pittore malato" per eccellenza, Van Gogh, che attraverso la musica di Eduardo De Crescenzo, che a lui ha dedicato uno dei suoi più recenti lavori,  si ripropone a noi. Il pittore soffriva spesso di allucinazioni e molti dei suoi capolavori sembrano riportare questo elemento, ma probabilmente la creatività di Van Gogh nasceva anche dalla "geniale" capacità di guardare la realtà da prospettive non ordinarie. I colori rosso e verde usati ne "Il Caffè di notte" esprimono il suo stato emotivo, le terribili passioni umane incontrate dall'artista nel suo percorso di vita, così come ne "Il campo di grano con corvi" si evince la tristezza e l'estrema solitudine che lo caratterizzava. La variegata sintomatologia presentata dall'artista coesiste, tuttavia, con la sua creatività tanto da non poter associare l'originalità dei suoi dipinti a caratteristiche tipiche di una patologia. Le tele, l'espressione artistica rappresentano un canale comunicativo, un modo scelto da Van Gogh per esprimere il suo vero se. L'uomo in quanto essere multi categoriale non possiede un linguaggio unico ma diverse modalità con cui attua l'intenzione di rivelarsi. Cambiando il modo di esprimersi, cambia lo stesso modo d'essere del soggetto.

sabato 4 dicembre 2010

Protagonisti di se stessi..




Chi nella vita non ha sognato almeno una volta di essere "protagonista"?

Chi non ha fantasticato di salire su un palcoscenico per esibire le proprie qualità e non importa se realmente possedute o soltanto desiderate? Improvvisarsi per un attimo cantante o musicista oppure ballerino talentuoso o attore famoso è una ricorrente fantasia soprattutto nell'età adolescenziale, quando dinanzi alla persona che immagina c'è un tutto da vivere, un percorso di vita da realizzare in cui vengono prese in considerazione svariate opportunità di lavoro e di occupazione del tempo libero, tra cui l'espressione della propria personalità attraverso la sfera artistica. Sovente capita anche all'adulto di immaginarsi proiettato in una dimensione fantastica in cui poter esprimere talenti desiderati e probabilmente non  posseduti. Identificarsi con il più bravo giocatore di calcio del momento, con il suo tenore di vita e la sua fama è comprensibile se consideriamo che l'essere umano fin da bambino finisce per identificarsi con il genitore dello stesso sesso incorporandone i valori in cui questi crede e le caratteristiche che diverranno, più tardi nell'età adulta, le regole e le norme morali avvertite come interne. Per l'adulto, identificarsi con il giocatore di calcio preferito o con l'attore da sempre ammirato, è una reazione alla frustrazione che questi "miti" creano. Consideriamo ad esempio un soggetto adulto che assiste ad un film al cinema. Lo spettatore si trova immerso in una situazione particolare garantita dalla presenza del buio, dalle grandi immagini proiettate sulla platea, dai suoni, dalla posizione rilassata, tutti fattori che consentono il passaggio dal pensiero critico e logico che contraddistingue l'individuo durante la veglia al pensiero oniroide formato in larga parte dall'affettività e dalle emozioni. Continuando nell'esempio, il film che lo spettatore sta osservando somministra frustrazioni mostrando ambienti che l'individuo vorrebbe frequentare o attori che impersonano tipi fisici e psicologici che l'individuo vorrebbe essere. A questo punto lo spettatore decide, seppur incosciamente, di superare questa frustrazione identificandosi con l'attore. L'identificazione con la persona che frusta, in questo caso l'attore, permette al soggetto frustrato, lo spettatore, di divertirsi e godersi lo spettacolo.
A volte, in alcuni casi, l'identificazione può continuare anche dopo lo spettacolo. Si nota nei giovani soprattutto questa tendenza a copiare le caratteristiche degli attori, vestendosi o pettinandosi come loro. Recentemente la saga di Twilight, di successo oceanico sia in libri che in film, ha coinvolto gran parte degli adolescenti (e non solo) modificandone a volte, comportamenti e atteggiamenti. L'attrazione per l'elemento "romantico" che fa parte da sempre dell'immaginario giovanile-adolescenziale dominandone i sogni e le aspettative, per l'elemento "fantastico" con la presenza della figura del vampiro, ma soprattutto per l'elemento "estetico" caratterizzato dalla presenza di giovani belli e stereotipati che si muovono leggiadri su fondali ovattati mostrando un look convenzionale studiato per attirare l'attenzione dei giovani considerati più facilmente influenzabili rispetto agli adulti, sembrerebbe esser ciò che ha portato popolarità alla saga. E' sull'aspetto estetico dei protagonisti che numerosi adolescenti hanno focalizzato il loro interesse e nell'identificarisi con loro ripropongono la pettinatura sghemba di Edward o esasperano l'emulazione facendosi, addirittura, impiantare due canini da vampiro per imitare Robert Pattinson. La richiesta piuttosto singolare riguarda una giovane ventiduenne romana che, qualche tempo fa, ha chiesto al proprio dentista (e ottenuto) di allungare i suoi canini di 1,5 mm perchè voleva realizzare due denti da vampiro. Considerata l'età della ragazza sarà stata per lei abbastanza chiara la distinzione tra ciò che è il cinema con il suo mondo fantasioso e la realtà che caratterizza il quotidiano, di conseguenza una simil richiesta porta a pensare che i "miti" televisivi eletti dalle nostre scelte vengono emulati da alcuni soggetti in maniera esasperata. Si potrebbe chiamare "effetto della televisione sul proprio Io" o "bisogno di far parlare di se stessi". Personalmente mi piace chiamarlo "narcisismo" o esagerata ammirazione per la propria persona. L'adorazione morbosa di se stesso che si esprime nel culto e nella cura maniacale del proprio corpo conduce l'individuo ad adottare uno stile di vita volto soprattutto "all'apparire". Essere protagonisti, a mio avviso,  non significa sacrificare la propria interiorità per ricercare un canone di bellezza alquanto esagerato o donarsi a falsi miti cercando di somigliarvi. L'accento dovrebbe esser posto maggiormente sulla cura delle relazioni con il prossimo più che sull'estetica individuale. Si può essere protagonista della propria vita e salire sul proprio palcoscenico rimanendo fedele ai propri pensieri e alle proprie emozioni, mettendo in scena le normali sfumature della nostra essenza, della nostra quotidianità. Ogni essere umano ha già un suo completo bagaglio che lo porta ad essere protagonista di se stesso attraverso l'autorealizzazione senza dover necessariamente modificare la sua condizione. 

sabato 6 novembre 2010

SAPPIAMO RIDERE?

L'anagramma di "satira" è risata, quello di "sarcasmo" è massacro.

Risata o riso è l'atto del ridere, una specie di convulsione che contrae i muscoli della faccia indicante allegrezza e accompagnata da scatti delle corde vocali.
Prende il nome da un erba chiamata Melissa (Melissa officinalis) comunemente detta anche Cedronella per l'odore simile a quello del limone. Indicata nelle convulsioni, nelle nevrosi, nell'isterismo e in ogni forma patologica afferente il sistema nervoso, è una pianta che cresce facilmente dalla zona mediterranea a quella montana, nei boschi e nei luoghi freschi e ombrosi. 

Satira deriva da Sàtura che significa manicaretto riempito di frutti di ogni genere che si offrivano ogni anno agli dei e quindi una specie di dramma in cui erano mischiate  musica, parole e danze. Fa Satira chi giudica dall'alto, chi crede di essere moralmente superiore e utilizzando le armi dell'arguzia e dell'intelligenza smaschera gli uomini e il loro modo di comportarsi. L'indirizzo usato è quello polemico.

Sarcasmo è una figura retorica usata per mostrare la presa in giro, la canzonatura o la burla di una persona, una situazione o una cosa. La parola deriva dal latino, sarcasmus, che a sua volta deriva dal greco antico sarkasmos ossia - mordersi le labbra per la rabbia -. A sua volta il termine è una derivazione di sarx che significa carne. Sarcasmo letteralmente può essere reso con "tagliare un pezzo di carne da qualcuno". Massacro etimologicamente vuol dire "Carneficina, strage, disastro".
Il sarcasmo si avvicina all'ironia ma quest'ultima muovendosi fra serietà e scherzo porta in sé la consapevolezza dei limiti dello spirito umano. Fa sarcasmo invece chi ha il desiderio maligno di nuocere all'altro.

Questi, se usati in maniera inappropriata, sono mezzi che l'essere umano può scegliere per liberarsi dalla tristezza e dalla delusione che lo invade, per innalzarsi al di sopra del peso della realtà. Questi, se mal utilizzati, possono diventare un'arma per offendere l'altro. Il riso invece utilizzato come "medicina dell'anima" consente all'essere umano di esternare le proprie emozioni e lo eleva ad un sano momento di condivisione sociale. Ridere fa bene all'anima, è come un raggio di sole in un giorno piovoso e fa bene all'organismo perché aiuta a produrre sostanze come le betaendorfine che attenuano gli stimoli dolorosi e danno un generale senso di benessere. Ridere in maniera sana aiuta anche il sistema immunitario tutelandolo dalle tipiche sostanze prodotte dallo stress come il cortisone e l'adrenalina che a lungo andare logorano l'organismo e abbassano le difese. Ridere, per il piacere di ridere, ossigena il sangue e rilassa i muscoli con conseguenti ripercussioni sul livello di energia. Ridere, nel rispetto del prossimo, aiuta a vivere meglio!

mercoledì 13 ottobre 2010

Le illusioni ottiche: a volte i sensi ci ingannano!


Voglio inaugurare questo blog con un post dedicato alle illusioni ottiche, così da metterci in discussione sulle nostre presunte certezze, laddove sono convinta che, in molti casi, esistono più verità per un unico fenomeno.
Mi piace l'idea di riportare qui di seguito uno dei capisaldi della psicologia della Gestalt ( detta anche della "buona forma"), ossia la figura del "profilo della suocera e della giovane donna".
Nell'osservare questa figura, solitamente, ci si sofferma a vedere uno solo dei due profili, o quello della vecchia o quello della giovane donna. Quasi mai viene colta la figura nella sua globalità e cioè mettendone in risalto sia l'anziana signora che la giovane donna. Osservate voi stessi:

La prima figura su cui vi dovete soffermare è quella grande a sx; è in questa immagine che vanno colti entrambi i profili. Sarete, probabilmente, portati a riconoscerne uno piuttosto che l'altro. Ponete poi l'attenzione alle altre 2 figure più piccole e prima in una e poi nell'altra dovreste scorgere i due profili in maniera più netta. (In alto a dx quello della giovane e in basso a dx quello dell'anziana donna). 

Chi  vede la figura grande per la prima volta, è probabile che giunga per caso alla scelta della struttura figurale: giovane o vecchia. La scelta che fate è determinata dal punto su cui decidete di fissare lo sguardo: la linea che congiunge naso e orecchio per la giovane oppure quella che congiunge naso e bocca per la vecchia. 
Se invece viene presentata per prima una delle due figure piccole, dove è netta la chiarezza dei due profili, vi abituate a riconoscere o l'anziana signora o la giovane donna e nel vedere successivamente la figura grande l’esperienza  che avete fatto influirà sicuramente sulla scelta successiva e vedrete ciò che avrete visto nella figura piccola.
Chiediamoci il perché di tutto ciò? 
Il non riuscire a cogliere la globalità della figura grande scorgendone i due profili deriva dal modo in cui siamo abituati a "vedere". Ci approcciamo al mondo attraverso i nostri organi di senso (vista, udito, tatto, olfatto, gusto) ma a volte i sensi ci ingannano e si verificano quelle che comunemente sono chiamate illusioni ottiche cioè fenomeni visivi in base ai quali quanto percepiamo non corrisponde a quanto abbiamo obiettivamente davanti agli occhi.
Siamo portati a compiere delle distorsioni percettive della realtà perché tra le numerose percezioni che compiamo ogni giorno, una gran parte deriva da ciò che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria, da immagini o comunque da ricordi precedentemente appresi che al momento giusto richiamiamo alla nostra coscienza e utilizziamo. E' come dire che ciò che abbiamo appreso prima, nel corso dei nostri anni, finisce per influenzare, e a volte in maniera non esatta, ciò che stiamo apprendendo adesso. Il nostro modo di percepire l'oggi dovrebbe essere libero, invece, da eventuali categorizzazioni o stereotipizzazioni. 
Probabilmente, penso che bisognerebbe affacciarsi alla realtà con la semplicità che caratterizza i bambini, pronti a cogliere ogni cosa, senza escludere elementi per rendere ogni esperienza fatta degna di essere vissuta.